Per una cultura della comunicazione e non dello "scarto"

Nel contesto odierno evidenziamo l’importanza delle relazioni e, contemporaneamente, facciamo i conti con le innumerevoli informazioni provenienti da nuovi media, che promuovono insistentemente un modello economico che mira al consumo e allo spreco. In una società che vive per il consumo, tutto si trasforma in merce, inclusi i rapporti interpersonali: «La vita organizzata intorno al consumo […] è priva di norme: è guidata dalla seduzione, da desideri sempre maggiori e da capricci volubili, non più da una regolamentazione normativa. Non esistono vicini di casa a fare da punto di riferimento per la propria vita; una società di consumatori è una società di raffronto universale e il cielo è il suo unico limite» [1]. L’ideologia consumistica crea desideri artificiali: la gente ha sempre desiderato qualcosa e ora ha l’opportunità di possedere tutto ciò che vuole. Secondo lo psicologo Barry Schwartz, la moltiplicazione delle opzioni, tipica dell’ideologia consumistica, ci rende meno felici. Dedichiamo troppo tempo e sprechiamo energie per passare al vaglio tutte le scelte possibili. Anzi, questa ideologia crea addirittura un rimpianto anticipato, in grado di alterare decisioni ormai definite [2]. Questo stile di vita aumenta l’ansia.

Oggi non vogliamo più legarci né alle cose, né alle persone. In un’epoca in cui siamo sempre più divisi, in cui ognuno si ritira nella propria bolla, i social media sono un sentiero che conduce molti all’indifferenza, alla polarizzazione e all’estremismo.

Le tecnologie della comunicazione e dell’informazione non sono soltanto strumenti, ma anche mezzi che possono ridurre la distanza tra le persone. Infatti, «chi cerca compagnia, soprattutto gli emarginati, spesso si rivolge agli spazi digitali per trovare comunità, inclusione e solidarietà con gli altri. Mentre molti hanno trovato conforto nel connettersi con gli altri nello spazio digitale, alcuni lo trovano inadeguato. Potremmo non riuscire a creare uno spazio per coloro che cercano di entrare in dialogo e trovare sostegno senza trovarsi di fronte ad atteggiamenti giudicanti o diffidenti» [3].

Promuovere un ambiente digitale migliore non significa distogliere l’attenzione dai problemi concreti come la fame, la povertà, le migrazioni forzate, le guerre, le malattie e la solitudine.

Alcuni incontri digitali non culminano in un “faccia a faccia”, ma creano comunque una condivisione vera: conversazioni significative in grado di riscaldare il cuore di chi si trova solo e nella sofferenza. D’altronde, il comunicatore perfetto è il Buon Samaritano: «La parabola del buon Samaritano […] ci sfida a confrontarci con la “cultura dello scarto” digitale e ad aiutarci reciprocamente a uscire dalla nostra zona di comfort, facendo uno sforzo volontario per andare incontro all’altro. Questo è possibile solo se ci svuotiamo di noi stessi, comprendendo che ognuno di noi è parte di quell’umanità ferita, e ricordando che qualcuno ci ha guardati e ha avuto compassione di noi» [4].

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La Sacra Scrittura parla di un Dio che va in cerca dell’uomo per stabilire con lui una relazione d’amicizia. Nella sua vita terrena, Gesù si è calato nelle situazioni umane, ha saputo ascoltare il grido dei sofferenti. Col suo abbraccio misericordioso ha aiutato chi voleva cambiare la propria vita.

Ogni cristiano dovrebbe prendere consapevolezza della propria influenza positiva nei social media: «Tutti noi dovremmo prendere sul serio la nostra “influenza”. Non ci sono solo macro-influencer con un grande pubblico, ma anche micro-influencer. Ogni cristiano è un micro-influencer. Ogni cristiano dovrebbe essere consapevole della propria potenziale influenza, a prescindere dal numero di persone che lo/la seguono. Al tempo stesso, deve essere consapevole che il valore del messaggio trasmesso dall’“influencer” cristiano non dipende dalle qualità del messaggero. Ogni seguace di Cristo ha il potenziale per stabilire un legame, non con se stesso/se stessa, ma con il Regno di Dio, anche per la più piccola cerchia delle sue relazioni. “Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia” (At 16,31)»[5].

Porsi in una dimensione di prossimità è la prassi ecclesiale della comunicazione e dei media, nella quale al primo posto c’è la persona. Per papa Francesco, infatti, comunicare significa condividere: «In questo mondo, i media possono aiutare a farci sentire più prossimi gli uni agli altri; a farci percepire un rinnovato senso di unità della famiglia umana che spinge alla solidarietà e all’impegno serio per una vita dignitosa. Comunicare bene ci aiuta ad essere più vicini e a conoscerci meglio tra noi, ad essere più uniti. I muri che ci dividono possono essere superati solamente se siamo pronti ad ascoltarci e imparare gli uni dagli altri. […] La cultura dell’incontro richiede che siamo disposti non soltanto a dare, ma anche a ricevere dagli altri» [6].


Giovanna Marroni

Laboratorio di tecniche e dinamiche

 della comunicazione interpersonale.

Quali relazioni nell’era del digitale

e dell’Intelligenza artificiale?

Docente: Prof. Giuseppe Pani


Istituto Superiore Scienze Religiose

Sassari - Tempio Ampurias



[1] Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Bari 2015, 56-57.

[2] Cfr. W. T. Cavanaugh, «Che cosa voglio?». Antropologia teologica e ideologia consumistica, in «Concilium», 4 (2014), 45.

[3] Dicastero per la Comunicazione, Verso una piena presenza. Riflessione pastorale sul coinvolgimento con i social media, 29 maggio 2023, n. 54.

[4] Ivi, n. 21. 

[5] Ivi, n. 74.

[6] Francesco, Messaggio per la 48ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro, 20-01-2014.