Un neonato rende luminose le nostre "stelle nere"

«Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Dio diviene carne per farci comprendere che il prossimo è di carne. Chi vuole realizzare l’apertura dello spirito umano verso il divino non ha necessità di innalzarlo, deve piuttosto umiliarlo, ricordandosi che ogni relazione è questione di “cuore di carne”: «Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne» (Ez 36,26). 

Nella sua fragilità, un neonato è associato a coloro la cui “carne” è in mano ad altri: malati, anziani, fragili, deboli. Gesù ha guarito lebbrosi, paralitici, ciechi, sordi, si è preso cura dei poveri. Prendersi cura della “carne di Cristo”, espressione cara a papa Francesco per indicare i bisognosi, implica sofferenza, sacrificio: è un parto doloroso.

Dio si è incarnato perché comprendessimo che ogni bambino è maestro di vita.

Il Dio in fasce, come quello in croce, ha le braccia spalancate, allarga, dilata la vita: noi, invece, chiudiamo le braccia, viviamo di pregiudizi, delimitiamo i confini decidendo chi è degno di amarci oppure no.  

Il Dio in fasce è nudo, sempre scoperto: noi, invece, "indossiamo" l'abito della forza, dell'ipocrisia, dell'invidia, del rancore e dell'odio. 

Il Dio in fasce è immerso nell’istante, proteso nel divenire, verso l’ignoto. Noi, invece, siamo fermi, mummificati, abbiamo terrore del nostro buio interiore. Una poesia di Chandra Livia Candiani dice: «Nella vita di tutti i giorni porto il mio danno come il più segreto dei doni: le mie stelle nere». Le “stelle nere” rappresentano i nostri errori, ma anche le nostre ferite, i nostri fallimenti, le nostre zone oscure, l'assenza di prospettive per il futuro. 

In questo periodo ammiriamo le luminarie, le stelle colorate artificiali che illuminano le nostre strade, ma fuggiamo dalle nostre “stelle nere” umane: rimuoviamo dal nostro cuore il “bambino ferito” che abbiamo dentro. Ignorare le “stelle nere” significa, però, perdersi. Paradossalmente le “stelle nere” sono la nostra stella cometa: ci riconducono a casa, nel nostro fragile e immenso “cuore di carne”. Oggi un Dio-neonato accoglie le nostre “stelle nere”; anzi, le rende luminose: «In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini» (Gv 1,4).

Auguro a me stesso, e a tutti voi, credenti e non, di trovare il “bambino ferito” dentro di noi, di guardarlo con tenerezza e dirgli: «Bambino mio, sono qui per te. Non aver paura. Mi prenderò cura di te: […] del tuo corpo, dei tuoi sentimenti, dei tuoi blocchi di dolore, del tuo desiderio più profondo che ha bisogno di essere riconosciuto. Torna a casa e sii là per tutte queste cose. Cammina in consapevolezza, respira in consapevolezza per poter essere realmente presente, per poter amare» (Thich Nhat Hanh).  

Basta scappare! Un neonato in una mangiatoria rende luminose le nostre “stelle nere”, prende per mano il nostro “bambino ferito” per ricondurlo a casa, in un "cuore di carne" capace d'amare.  

Buon Natale! 

don Giuseppe Pani


Per un approfondimento si consiglia l'articolo di F. Occhetto, Far brillare le nostre stelle nere. Un itinerario per i mendicanti di luce, in Aa.Vv., L'acqua è insegnata dalla sete. Riflessioni sull'errore umano, Edizioni Sanpino, Pecetto Torinese (To) 2022.