Chiesa e giovani

Risuona spesso una domanda ansiogena nelle comunità ecclesiali: come portare il vangelo ai giovani? Nessuno ha “in tasca” la verità e certamente la strada va cercata. Segnali e indicazioni non mancano ma vanno ascoltati e visti, interpretati, scelti con pazienza e coraggio. Due virtù e disposizioni d’animo indispensabili per riflettere e agire in rapporto a singoli, dai volti e nomi ben precisi.

Meglio non pensare ad una astratta “categoria”, bensì a persone distinte e originali, nonostante a volte vestano abiti e calzino scarpe così simili… Peccato che molti non festeggino il loro onomastico e che sappiano ben poco o nulla del proprio nome.

Il quotidiano dei giovani

Chi ha a che fare giornalmente con studenti e studentesse delle scuole superiori di secondo grado, (ma anche con ex alunni universitari o laureati), condivide il lamento sull’assenza dei cosiddetti “giovani” in ambiti ecclesiali. Tuttavia, più volte mi ritrovo con altre domande: Siamo proprio certi di volere queste persone nella Chiesa di oggi? Hanno le comunità cristiane odierne spazi (più mentali che fisici) per le ragazze e i ragazzi delle ultime generazioni? E ancora: Siamo pronti a tollerare quei comportamenti che – soprattutto durante i colloqui con gli insegnanti – gli stessi genitori disegnano così: irritanti abitudini, maleducate risposte, distrazioni numerose, silenzi inquietanti, disordine diffuso, sbalzi umorali improvvisi…?

Luoghi accoglienti

Ricordo, alcuni anni fa, lo sguardo allarmato di una devota parrocchiana: aveva scorto un giovane educatore sul tetto di una cappella della chiesa, durante i giochi dell’oratorio estivo. La preoccupazione – più che giustificata – aveva indotto a guardare con perplessità esperienze di quel genere: meglio rassicurare le persone ed evitare rischi eccessivi. Purtroppo, le conseguenze di questi prudenti atteggiamenti e pensieri ci sono ora tristemente note.

D’altra parte, è arduo entrare nelle corde di chi sta avanzando un po’ a tentoni nel mondo, urtando qua e là, come chi calpesta tappeti preziosi con scarpe infangate. Occorrono case spaziose e comode, senza troppe suppellettili, ampie finestre che facciano entrare aria e luce buone per rinfrescare e illuminare ambienti troppo ombrosi.

E poi luoghi idonei, anche con un po’ di verde, per le connessioni: non solo quelle mediatiche (certamente utili, visti i supporti diffusi), ma soprattutto spirituali dove calma e pazienza risultano indispensabili. Quando vedo giovanissimi che lavorano in centri commerciali, iper-store o negozi spesso affollati e rumorosi, penso che troverebbero ristoro in luoghi accoglienti come quelli descritti e ben diversi dai piccoli appartamenti o monolocali in cui a volte abitano.

Facendo memoria di alcune connessioni riuscite e sollecitata dalla prosa di Italo Calvino (soprattutto nei bei racconti in Sotto il sole giaguaro con acuti pensieri e ricche immagini sui sensi umani), ecco qualche breve nota… sulla via della ricerca.

Risveglio dei sensi

Un grande orecchio. Occorre raffinare l’ascolto di chi a volte non parla e cogliere le voci e le parole non dette da chi è tuttavia ben allertato ad ascoltare suoni altrui.  Un gruppo di studenti liceali, anni fa, si stupirono che un’insegnante avesse usato il proprio cellulare (allora non c’erano contratti vantaggiosi…) e a lungo conversato, durante le vacanze estive, con una loro compagna in seria difficoltà. Aver speso tempo e denaro, in periodo non scolastico, per ascoltare vissuti ed emozioni non proprio divertenti è stato avvertito come atteggiamento raro e lodevole.

Apprezzare il profumo e il gusto della relazione. Ogni donna ha il suo profumo, dice un proverbio arabo saudita (Ogni donna  porta con sé la mirra, il cinnamomo, il balsamo; ma mirra e cinnamomo e balsamo non sono mai uguali perché ogni donna ha il suo profumo), che ben commenta alcuni passi del Cantico dei Cantici (“Il mio diletto è per me un sacchetto di mirra, riposa sul mio petto”, Ct 1,13).

E certo occorre uno speciale olfatto capace di distinguere le fragranze. Spesso i più giovani non aspettano altro che qualcuno sappia “annusarli” e sia in grado di apprezzare e richiamare quella specifica nota aerea, facilmente fuggevole. Inoltre, forse non serve citare la bella novella di Karen Blixen e il film omonimo (Il pranzo di Babette) per dire come il piacere del gustare insieme cose buone sappia favorire intimità e vicinanza.

Col cibo corrono, e si amalgamano desideri, sentimenti, voci interiori. Un vero peccato non vedere diffuse piccole cucine – anche minimamente attrezzate e fruibili dai ragazzi – nelle scuole superiori o negli oratori. Posso testimoniare di alte abilità culinarie di giovanissimi e tali da favorire incontri veri e preziose comunicazioni.

Vista acuta.  Come insegna la grande ritrattistica di età moderna, le chiavi interpretative per l’identità del soggetto dipinto si trovano in minuscoli segnali: un animaletto, quel particolare gioiello, un abbigliamento specifico. Spesso l’attenzione a bizzarri e ripetuti comportamenti di un ragazzo o di una ragazza consente di scorgere un aspetto favorevole a ben accompagnare quel percorso identitario.

Tuttavia, quelle finestre sul mondo che sono i nostri sensi risentono di limiti inevitabili. Oltre agli insegnamenti offerti dalle scienze umane, occorre esercitare disposizioni morali di accoglienza e di rispetto di fronte a chi sta cercando la propria strada. A ben vedere, in odierne percezioni della condizione giovanile le domande: “chi sono?” e “cosa farò da grande?” sono sempre presenti. Magari sono scritte con l’inchiostro simpatico… ma con buone lenti prima o poi si scorgono.

Coraggiosa rivelazione dei propri limiti. Una studentessa mi disse che era stata aiutata dalla mia aperta e turbata confessione del disagio che vissi dopo un esame di filosofia morale andato male (avrei voluto lasciare gli studi universitari). Se siamo capaci di svelare con verità alcune nostre debolezze, chi teme le proprie può sentirsi solo rassicurato.

 A questo stile di comportamenti è facile abbinare richiami evangelici: sono numerosi i racconti che narrano di un Gesù disponibile ad ascoltare proprio tutti e tutte; a scorgere figure che altri non sembravano vedere, a rivelare la propria stanchezza o paura. Un sacramento ormai alieno come la confessione potrebbe essere l’occasione per confrontarsi con le proprie debolezze, evocarne il superamento grazie ad un Alleato misericordioso.

Del resto, abbiamo fede in un Dio che è stato prima un bambino e poi un giovane in ricerca della propria identità. Preghiamo il Figlio che, cresciuto in un contesto sociale povero e periferico, ha saputo chiedere al Padre segnali di vita e trovare stimoli e persone che – non magicamente, ma con parole e atteggiamenti idonei – lo hanno aiutato a scoprirsi figlio di Dio.

Antonella Cattorini Cattaneo, SettimanaNews