Comunicare per generare

La moltiplicazione dei dispositivi e la diffusione “universale” della connessione hanno reso i contenuti prodotti dai media snackable, cioè semplici da condividere. Oggi essere digitali non significa più esclusivamente abitare un mondo astratto e virtuale, non indica una modalità diversa da quella reale. Dobbiamo evitare di disumanizzare il digitale; necessario, invece, creare un’umanità mediale, una spiritualità mediale. Relazionarsi attraverso i social significa, infatti, captare le vite, le storie di milioni di persone, «rafforzare la propria esperienza sociale almeno in due direzioni: da un lato, l’identità sociale, ossia le caratteristiche della propria posizione all’interno dei gruppi sociali a cui si appartiene; dall’altro, la rete sociale stessa, ossia l’insieme di persone cui si è collegati da una forma qualsiasi di relazione sociale, dall’appartenenza alla stessa famiglia, a una conoscenza casuale».

L’ ufficio diocesano per la pastorale universitaria, la cultura e l'evangelizzazione digitale - Comunicare per generare, voluto fortemente da Mons. Roberto Carboni, intende rispondere a un preciso invito del “Sinodo dei Giovani”: «L’ambiente digitale rappresenta per la Chiesa una sfida su molteplici livelli. È imprescindibile quindi approfondire la conoscenza delle sue dinamiche e la sua portata da un punto di vista antropologico ed etico. Esso richiede non solo di abitarlo e promuovere le sue potenzialità comunicative in vista dell’annuncio cristiano, ma anche di impregnare di Vangelo le sue culture e le sue dinamiche (n. 145).

Dunque, il Sinodo «auspica che nella Chiesa si istituiscano ai livelli adeguati appositi uffici o organismi per la cultura e l’evangelizzazione digitale, che, con l’imprescindibile contributo di giovani, promuovano l’azione e la riflessione ecclesiale in questo ambiente» (n. 146).  

L’approccio col mondo giovanile ci invita a non restare confinati nei nostri personaggi o ruoli acquisiti, nell’esercizio del solito menù teologico, nelle discussioni interminabili sui nostri errori di valutazione pastorale. Oggi non siamo più online oppure offline, ma onlife: un neologismo creato dal filsofo Luciano Floridi per esprimere l’inestricabile intreccio tra vita reale e universo digitale.

Nel nostro percorso sarà fondamentale il contributo di tutti coloro che hanno a cuore la formazione di coscienze capaci di discernere la verità: docenti, educatori, giovani universitari e laureati, operatori della cultura e dei media.

Un rilancio diocesano della pastorale universitaria inteso non in chiave di “reconquista” di uno spazio originariamente nostro. Un percorso non di massa (non saranno importanti i grandi numeri), ma di “deserto”. Attraversare il deserto significa accettare la possibilità di un cambiamento, di una nuova identità incentrata su Cristo: il Verbo che si è fatto carne (cfr. Gv 1,14)). Camminare nel deserto vuol dire anche puntare all’essenziale, non lasciarsi abbagliare dai miraggi.

Sarà un laboratorio pastorale con persone aperte alla diversità, al dialogo e al trascendente: «L’uomo esiste come essere limitato in un mondo limitato; eppure la sua ragione è aperta all’illimitato, all’Essere tutto intero» (H. U. von Balthasar).  La Chiesa del Carmine di Oristano sarà il nostro luogo di confronto.

L’idea è quella di creare una comunità “attiva”, capace cioè di generare contenuti, relazioni, amicizie, prossimità. Papa Francesco ha riassegnato alle social network communities la condizione di vere e proprie comunità umane nelle quali vivere la prossimità.  Perché il problema più grave nella comunità ecclesiale e nella società non è la crisi delle verità di fede, dei sacramenti, ma la morte del prossimo. Alla corruzione dell’amore contribuisce anche il criterio religioso e pastorale di una porzione di mondo cattolico: una certa religiosità emozionale e “devozionista”, focalizzata sul potere della soddisfazione affettiva, dimentica inevitabilmente il primato della sequela di Cristo, Signore delle relazioni.

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Don Giuseppe Pani