La "luce" nascosta in un armadio

Il Natale non è un sogno o una favola per bambini, ma un’immersione nella vita reale. La pandemia continua a spaventarci, ma in tanti non viene a mancare il desiderio del meraviglioso. Non hanno esaurito le riserve di speranza, intravedono sempre – malgrado la sofferenza del mondo in questo tempo di crisi – qualcosa di inatteso, di nuovo. Possiedono un segreto, quell’essere piccoli in grado di illuminare la notte. È una luce piena di mistero, che non può essere spiegata semplicemente a partire da questa terra. Forse è per questo che a Natale amano pensare, stare, giocare con i bambini: ritornano “fanciulli” per rivivere la magia, l’incanto, la sorpresa. In un mondo che sempre più è caratterizzato dalla paura, dalla violenza (anche verbale) e dalla mancanza di pace, qualcosa o qualcuno riempie di luce il quotidiano. Viviamo nell’epoca della cultura della virtualità reale, nella quale le immagini  ingigantiscono l’autoreferenzialità e il narcisismo, trasformatosi da disturbo psicologico a forma mentis. Le piattaforme digitali sono diventate il nostro specchio personale, il riflesso di noi stessi, della nostra identità fragile e “malata”. Molti sfogano il proprio disagio sui social: gridano, minacciano. Si dimenticano che la violenza verbale evoca e allude a quella fisica. Altri, invece, sono portatori di luce, cercano di vivere la prossimità con un’iniziativa, un articolo, un post, un like, una condivisione.

Non dimentichiamoci, però, di quanti vivono il futuro, i prossimi minuti incerti, con una sensazione di forte instabilità, fino a castrare ogni speranza: meglio evitare l’illusione. Per non rischiare si rinchiudono, divenendo apatici anche alle poche occasioni di “luce”. In questo tempo di Natale “sospeso” dobbiamo ricordarci di quanti vivono questo tipo di oscurità. Chi possiede un “frammento di luce” lo esponga per illuminare i passi degli altri: ciò che è luce non può essere nascosto. Non è facile portare la luce. L’angelo annuncia ai pastori la nascita del messia «e la gloria del Signore li avvolse di luce», ma «essi furono presi da grande timore» (Lc 2, 9-10). Malgrado l’iniziale paura, i pastori decidono di mettersi in cammino: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere» (Lc 2,15). Troveranno un bambino nello stesso letame che avevano lasciato, ma soprattutto una “luce” che cambierà il loro cuore. Ritorneranno pieni di gioia al loro duro mestiere, sicuri, però, che quel Dio-fanciullo – con l’identico profumo del loro lavoro – non li abbandonerà mai.

Ne Il grande albero, Susanna Tamaro scrive: «La nostra vita è come quella degli alberi, il seme si schiude e cerca la luce. Continua a cercarla e a nutrirsi di lei per tutti i giorni. Per questo vi dico: ricordatevi della luce e del seme. Il seme dell’amore riposa nel cuore di ogni uomo. Può dormire per giorni, per mesi, per anni, ma non è mai morto. Quel seme è l’impronta del Padre. Quel seme ci rende tutti fratelli, tutti ugualmente capaci e bisognosi d’amore». A chi vive nel buio dobbiamo sussurrare quattro inviti: «Fidati!», «Confida! », «Affidati!», «Meravigliati!». Meravigliati per un Dio che porta soltanto se stesso: nessun dono materiale, denaro, fama, stabilità. Un Dio che diventa un uomo, un neonato: simbolo della nostra fragilità e vulnerabilità, della nostra necessità di avere bisogno degli altri.


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Perché Dio si è fatto “piccolo"? Perché in un bambino tutto è denso, in tensione, totale. Ogni sua sensazione è piena, così come pieno è il fluire del suo esistere: il suo agitarsi nel gioco e la quiete solenne del suo dormire. Quando guardi un bambino che dorme ti emozioni, ritrovi la pace e gli angeli si commuovono con te. Il Messia è un bambino che “porta se stesso” in viaggio, viene messo in una mangiatoia e subito viene perseguitato dal potente di turno. Dio non indossa un abito umano per poi toglierselo velocemente e indossare quello divino. Non vive soltanto accanto a noi, ma diventa un essere umano in tutto, conoscendo il dolore e la gioia di questa vita. Porterà così tanto se stesso da risultare fastidioso a tanti: per sbarazzarsene lo inchioderanno a una croce. Non possiamo guardare la mangiatoia, simbolo della vita, dimenticandoci della croce, del dolore, della morte anche “interiore” di tanti innocenti. La mangiatoia e la croce sono da sempre un’unica realtà. Non è un caso che i Vangeli ci raccontino della nascita di Gesù e contemporaneamente di una strage di bambini. Anche noi “ammazziamo” ogni giorno, con la nostra indifferenza o col nostro cinismo, tanti innocenti che hanno soltanto la colpa di essere deboli, tristi, depressi, impauriti, scoraggiati anche a causa di questa crisi pandemica. Spesso il nostro non è il Natale di Gesù, ma il Natale di Erode: soffochiamo il più debole respiro di speranza. Natale non è semplicemente un atto teatrale mondiale, ma una “luce” da portare in tutto il mondo ogni giorno dell’anno. La vera tristezza del Natale è quando la festa finisce. Tutta la scenografia viene smontata velocemente, compreso Gesù bambino: sarà “rinchiuso al buio”, nell’armadio di una sacrestia, fino al Tempo di Natale successivo. Ci ricordiamo così delle parole dell’evangelista Giovanni: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto» (1, 9-11). La “luce” l’hanno nascosta in un armadio. Buon Natale!

don Giuseppe Pani