Lettera Pastorale di Mons. Roberto Carboni

La lettera pastorale dell’arcivescovo Mons. Roberto Carboni prende il titolo da un versetto del Vangelo secondo Giovanni: «Signore, vogliamo vedere Gesù» (Gv 12,21). La domanda è di alcuni greci a Filippo. Di seguito alcuni passaggi significativi per comprenderne il messaggio.  

«Conoscere Gesù, sapere cose su di Lui, non basta. Il rischio sempre presente è che rimanga una fede e una relazione solo pensata, mentale. Mentre il Signore chiede che la fiducia in Lui, la conoscenza di Lui si trasformi in azione. Andate, annunciate, sanate. Una fede non chiusa in sé stessa, autoreferenziale ma una fede che genera azione, che umanizza il nostro mondo così come Dio Padre lo ha pensato e che poi ci ha consegnato perché realizzassimo». 

«L’esperienza dolorosa della pandemia ci ha obbligato a rivedere i nostri stili pastorali, spingendoci a riproporre in modo importante le cose che conoscevamo ma che forse non erano al centro della nostra attenzione: il sacerdozio comune dei fedeli; la necessità di educare e aiutare tutti i cristiani a riappropriarsi della preghiera personale vissuta in famiglia: un più autentico rapporto con Dio». 

«Sappiamo che non possiamo elaborare complicati piani pastorali che non sarebbero del tutto adeguati alla situazione un po’ incerta e fluida che stiamo affrontando, sebbene sia necessario focalizzare alcuni obiettivi pastorali per sostenere il cammino delle comunità». 

«Un po’ alla volta sembra che il popolo cristiano si sia convinto che la fede è un affare dei vescovi, dei preti, delle religiose, dei frati. Forse è questa passività che non ci aiuta a trasformare la Chiesa oggi». 

«Nella nostra terra di Sardegna assume un aspetto importante la religiosità popolare. Si tratta di tradizioni legate alle feste del Signore, della Madonna e dei Santi; in una parola a tutto ciò che nei secoli ha creato quel ricco patrimonio di tradizioni e manifestazioni popolari della fede nelle nostre comunità. Una realtà che deve essere valutata con attenzione, senza farci ingabbiare da due atteggiamenti che sono egualmente negativi. Il primo è la tentazione iconoclasta di ridurre o addirittura eliminare tutto questo, come se fosse solo nocivo, negativo o non evangelizzabile. Il secondo atteggiamento è subire la tradizione in modo passivo, o talvolta trasformarla in un idolo intoccabile». 

«Uno degli aspetti che tutti notiamo nelle nostre comunità è la distanza sempre più ampia tra la vita celebrata e quella vissuta quotidianamente. Queste dimensioni non vanno separate, né si può ridurre l’adesione di fede solo alla celebrazione o alla conoscenza teorica di dottrine, dato che essa implica anche l’agire, il fare, lasciare che la dimensione della fede entri nel quotidiano». 

«Nelle nostre comunità, e come presbiteri, ci troviamo spesso ad utilizzare categorie mentali che dividono le persone tra credenti non praticanti e credenti praticanti. La tentazione è quella di occuparsi principalmente o esclusivamente dei praticanti e certo questo è importante e necessario. Cosa fare però con i credenti non praticanti, che si riconoscono cristiani per aver ricevuto il Battesimo, ma hanno un diverso approccio alla partecipazione alla vita della comunità? Dobbiamo tener presenti queste persone senza escluderle. Cosa possiamo fare? Che messaggio possiamo offrire loro? Non certo dare un messaggio di esclusione ma piuttosto di inclusione».  

«Dobbiamo renderci conto che ci viene chiesto un ritorno a Gesù e una vera conversione al Vangelo se vogliamo che la nostra fede abbia ancora significato nel nostro contesto storico. Non basteranno quelli che qualcuno ha chiamato “i giochi di prestigio pastorali”, per venire incontro alle necessità delle comunità cristiane o alla distribuzione dei pochi presbiteri rimasti».

 

La lettera pastorale è scaricabile al seguente link: http://www.chiesadioristano.it/wp-content/uploads/2020/10/Lettera-pastorale-Arcivescovo-2020.pdf