Odio sui social. Ritornano i vecchi vizi

Tra le varie forme di questo «mal-essere» di ritorno spicca in particolare la corposa rimessa in circolo di quello che viene spesso denominato come il «linguaggio dell’odio». Si tratta di una piaga, che diventa emblematica di ogni prepotenza esercitata su chi è stigmatizzato in quanto portatore di una «differenza». Non a caso tale piaga si accanisce con peculiare spietatezza contro le donne: in effetti la differenza reciproca dell’uomo rispetto alla donna e della donna rispetto all’uomo è considerata da sempre come una sorta di matrice simbolica di ogni rapporto con l’«alterità». Un rapporto, che può essere vissuto tanto come arricchimento di senso, quanto come movente di sopraffazione. […] Tale fenomeno, che infetta pericolosamente le relazioni interpersonali e collettive, si manifesta con particolare virulenza tra le fila del cosiddetto «popolo dei social». Le sue forme espressive sono ad esempio il cyber-bullismo e il body shaming; qui però vorrei portare l’attenzione verso una sua ulteriore modalità, tipica dell’infosfera, ossia le fake news. Si tratta dello strumento privilegiato di quella che il filosofo coreano Byung-Chul Han chiama «la psico-politica digitale». La loro forza sta nel dribblare il vaglio della razionalità per puntare dritto alla percezione emozionale. Prima ancora di essersi posto la domanda se ciò che un testo o un’immagine rappresenta è vero oppure falso, il navigatore social ha già compulsivamente ritwittato o condiviso, poiché appunto quella rappresentazione corrisponde alla sua percezione emotiva/dualistica della realtà.

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