Oltre il referendum: l'arte di "stare fermi"

La politica dei blog e dei post dimentica le persone è aumenta la «comunità delle solitudini». I partiti sono oggi trampolini per i leader e per i gruppi di potere, luoghi di ambizioni personali, strumenti di demagogia elettorale: tutte finzioni che esaltano la dimensione del potere personale e mortificano quella del servizio. Interessante quanto ha affermato Luciano Violante su L’Osservatore Romano sei anni fa: «Nella tradizione democratica si cercava il consenso per acquisire il potere; ora è frequente la ricerca primaria del potere e la sua spregiudicata utilizzazione per acquisire il consenso. Gli effetti non sono indolori: la coerenza non è più una virtù; le regole sono piegate all’utile; il perseguimento dello scopo prevale su ogni altra considerazione; la lotta politica è senza confini; la demagogia è perennemente in agguato perché bisogna ottenere il consenso dai cittadini, ogni giorno e ogni ora del giorno».

La stessa informazione è in ostaggio della politica per questioni di indici di gradimento; i talk show, però, sviliscono le notizie.

La verità è che la nostra vita si svolge in nonluoghi, per usare una definizione dell’antropologo Marc Augè. Abitiamo mille spazi di “consumo”: centri commerciali, social, talvolta chiese. Nonluoghi dove “vivono” milioni di persone che evitano le relazioni autentiche. Un mondo di nonluoghi dove ciò che conta è l’istantaneità. Diversi politici e opinionisti, sapendo che non viviamo più relazioni serie – e che ciò che conta è l’istante – “urlano” ogni minuto per appagare il nostro isolamento: sono esseri inutili che sprecano parole senza mai trovare quelle necessarie per se stessi e per gli altri. Sono consapevoli che siamo esseri senza memoria e storia, tra l’altro termini non sinonimi: «La memoria è sempre in evoluzione, soggetta a tutte le utilizzazioni e manipolazioni; la storia è la ricostruzione, sempre problematica e incompleta, di ciò che non c’è più. Carica di sentimenti e di magia, la memoria si nutre di ricordi e sfumati; la storia, in quanto operazione intellettuale e laicizzante, richiede analisi e discorso critico. La memoria colloca il ricordo nell’ambito del sacro, la storia lo stana e lo rende prosaico» (S. Montefiori). Anche la Chiesa dovrebbe amare la storia: «La Chiesa non ha paura della storia, anzi, la ama, e vorrebbe amarla di più e meglio, come la ama Dio» (papa Francesco).

Vivendo in nonluoghi senza storia e memoria, l’uomo occidentale contrae una terribile malattia: non oppone alcuna resistenza, si arrende e uniforma «perché è meglio tirare a campare», si ritrae in quarantena permanente. Le questioni economiche, la disoccupazione non possono essere ridotte a questioni di sopravvivenza con la scusa di una crisi globale. Come afferma Milena Jesenskà, viviamo l’equivoco di stare in una «trappola per topi» nella quale, alla fine, «finiremo per morire tutti»: l’assenza di una prospettiva per il futuro, l’abitudine al peggio ci uccideranno. Occorre coraggio per dimostrare di essere preoccupati per il bene comune. Hannah Arendt usa parole significative: «Lasciare il proprio riparo e mostrare chi si è, svelando ed esponendo se stessi» con la «volontà di agire e parlare, di inserirsi nel mondo e di iniziare la propria storia» non soltanto su instagram. Votare “sì” o “no” a un referendum non serve a nulla se alla fine siamo spettatori delle storie di altri. Poco importata se le storie altrui sono 100 o 1000. Per avere coraggio, per iniziare la propria storia, occorre imparare a “stare fermi”. La Jesenskà sottolinea che quando succede qualcosa di strano, ad esempio un evento straordinario, la reazione naturale è quella della paura. Per un motivo o per l’altro, tutti si “muovono” in preda a fare qualcosa: «Le persone possedute dal panico, dalla solitudine e dall’assenza di terreno sotto i piedi, compiono atti folli o giocano tiri codardi, agiscono come martiri sebbene nessuno li stia torturando, o fuggono benché nessuno li stia inseguendo. I primi diranno: “Sono un eroe”, i secondi diranno: “Sono stato costretto”. Entrambi si mettono al centro degli avvenimenti e danno estrema importanza ai propri comportamenti e affari personali. L’essenza della paura sta appunto nell’impedire a una persona di stare ferma» (L. Boella).

"Stare fermi", invece, significa capire ciò che accade, stare di fronte a qualcosa che non conosciamo, non osservare soltanto dalla nostra prospettiva. Fermarsi, quindi, non significa essere passivi: per stare fermi occorre forza, coraggio, pensiero, intelligenza, preghiera. Stando “fermi”, non facendoci trascinare dagli slogan del momento, eleggeremo politici saggi, non solo intelligenti. Qual è la differenza tra un uomo intelligente e uno saggio? La risposta è semplice: l’intelligente sa risolvere i problemi che l’uomo saggio ha saputo evitare.

Giuseppe Pani