Tutti contro uno: il capro espiatorio nell'infosfera

È uscito nelle librerie e negli store digitali Tutti contro uno. Un’intelligenza spirituale per staccarsi dalla folla degli haters (Edizioni Sanpino), il nuovo libro di don Giuseppe Pani. Il saggio affronta il tema del nostro vivere onlife, degli algoritmi, dell’intelligenza artificiale, ma soprattutto fissa l’attenzione sull’odio, la violenza e la figura del capro espiatorio nell’infosfera, confrontandosi col pensiero del noto intellettuale francese René Girard. 
Abbiamo dialogato con don Pani per approfondire le tematiche delle sua ultima fatica letteraria.

Perché affrontare il tema dell’odio nell’infosfera attraverso René Girard?

«Viviamo una crisi globale che scatena folle di odiatori contro vittime prescelte (sim­boliche) ritenute colpevoli di ogni male. Il rito del tutti contro uno attraverso le fake news, i linciaggi virtuali degli haters nei confronti di una vittima prescelta – con l’illu­sione di una riappacificazione della folla carnefice digitale – sono ormai il nostro pane quotidiano. Nel libro invito a non trascurare, soprattutto nell’infosfera, la figura teologica e sociale del capro espiatorio sulla quale Girard ha riflettuto ampiamente. La teologia parla di questioni vitali per l’uomo: è obbligata a prendere parte a una ricerca pubblica della verità, a confrontarsi, a comprendere che il pluralismo è un arricchimento e non un problema, a custodire con altri pensieri l’umano nell’infosfera. Il pensiero di Girard pone in dialogo fede e società».  

Che cosa intende per folla?

«Come scrive Girard, “il diventare folla della folla è una cosa sola con il richiamo oscuro che la riunisce o che la mobilita, in altre parole la trasforma in mob. È da mobile, in ef­fetti, che viene questo termine inglese distinto da crowd, come in latino turba è distinto da vulgus”. In parole semplici, una folla che perseguita predilige sempre l’azione, non cerca le cause reali del problema: desidera semplicemente un qual­cosa di accessibile per sfogare la propria violenza. Blog, social, talk show sono spesso soltanto strumenti di questo sfogo. Nell’infosfera la folla è molteplice, mutevole, direi addirittura “fluida”. Leader violenti di ogni genere hanno milioni di follower. La pandemia ha inasprito i conflitti nella società: se non ti schieri contro qualcuno non esisti. Anche nella Chiesa ci sono polarizzazioni violente su questioni teologiche serie, ma anche su sciocchezze slegate totalmente dai drammi delle persone. Ad esempio, discussioni sui social (e non solo) inerenti look ecclesiastici, paramenti liturgici, ecc. Prendendo in prestito una battuta di Enrico Brignano, siamo passati dalle “guerre puniche” alle “guerre tuniche”. Personalmente scelgo di stare fuori da queste folle di clero e di  laici "clericalizzati” nelle quali pullulano estremisti violenti. Meglio solo come in un quadro di Hopper. Preferisco il silenzio, denso di solitudine positiva, che ascoltare o pronunciare parole inutili».  

Folle che si scatenano contro un capro espiatorio?

«Viviamo una reciproca aggressività che si scatena per un gioco mi­metico, per una sorta d’imitazione che spinge ciascuno a de­siderare ciò che gli altri desiderano. Il vero problema, che pochi considerano seriamente, è che senza accorgercene “imitiamo i desideri degli altri”. Oggi sono gli influencer, gli algoritmi persuasivi a dirci chi e che cosa dobbiamo desiderare. Vogliamo una cosa, sogniamo una situazione ideale perché desiderata, vissuta, sponsorizzata da un modello o un algoritmo. Sul desiderio la Bibbia è sempre stata chiara. Il decimo comandamento non vieta un’azione, ma il desiderio stesso: «Non desidererai la casa del tuo pros­simo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né al­cuna cosa che appartenga al tuo prossimo». Il verbo desiderare evidenzia che dentro di noi esiste un pe­ricoloso processo emotivo: il comandamento proibisce la bra­mosia, il desiderio ossessivo per ciò che l’altro possiede. Desiderare secondo gli altri, cioè qualcosa che alla fine non ci appaga, porta in sé frustrazione, invidia e violenza. Come nei miti antichi e nei sacrifici rituali, per bloccare la crisi, sfogare l’odio, "riappacificare" il gruppo sociale, la folla – la furia collettiva di chi imita i desideri degli altri – sceglie una vit­tima: un capro espiatorio. In un attimo si diventa carnefici o capri espiatori di qualcuno. E una parte della folla, comunque complice, di fronte a un monitor o a un display si gode lo spettacolo della violenza, compreso quello della guerra».  

Come possiamo evitare questa dinamica mostruosa?

«Comprendendo che dobbiamo smascherare il processo vittimario, la logica del capro espiatorio. Gesù Cristo, resistendo alle accuse, dichiarandosi innocente fino all’ultimo, senza mai cedere al desiderio di vendetta, anzi perdonando i suoi carnefici, ci fa comprendere che la vittima prescelta non favorisce la riconciliazione, ma consegna ai persecutori una dolorosa rivelazione: la re­sponsabilità umana della violenza.  È fondamentale staccarci dalla folla violenta, qualunque essa sia. Nel Vangelo di Luca leggiamo: «Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!”. Ma l’altro lo rimproverava: “Neanche tu hai ti­more di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male”. E aggiunse: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”». L’evangelista ci spiega che ognuno nell’esistenza è sempre di fronte a un bivio: seguire acriticamente la folla o staccarsi da essa. Luca utilizza un espediente letterario: chi ascolta i malfattori è costretto a prendere una posizione a fa­vore dell’uno o dell’altro, anche nell’infosfera. Nei Vangeli non esiste il concetto di equidistanza: devi decidere se stare coi persecutori o con le vittime innocenti. L’equidistanza è equiparata all’opportunismo, all’indifferenza. Anzi, c’è anche un chiaro invito a non mettere alla gogna persino i colpevoli. Gesù ha rischiato la propria vita per salvare una donna dalla lapidazione. Scrive Girard: “Salvare la donna adultera dalla lapidazione come fa Gesù, impedire un contagio mimetico di tipo violento, significa in­nescare un processo inverso, un contagio non violento”. Qualsiasi gogna mediatica scatena ulteriore violenza. Un messaggio per credenti e non».  

In quest’era onlife è problematico sconfessare il processo del capro espiatorio? 

«Sconfessare questo sistema è ancora più difficile nell’era dell’intelligenza artificiale, che ha comunque migliorato la nostra vita in vari ambiti. Se privo di una riflessione sulla coscienza individuale e sulle reti di responsabilità (di fronte a problemi complessi non è sufficiente la sola coscienza individuale), questo strano tempo rischia di far registrare nuovi contagi violenti, ma sempre al­l’interno dell’antico cerchio mimetico investigato da Girard. I dubbi, infatti, non mancano: se gli algoritmi indirizzano i nostri desideri, rischiamo di peggiorare le nostre dinamiche relazionali? Le macchine possono forse liberarci dalle catene del desiderare secondo l’altro, dalla bramosia, dall’invidia, dal­l’odio, dal movimento della folla che tende sempre a indivi­duare un capro espiatorio? Sono in grado di prendere decisioni di fronte a un dilemma morale?  Una macchina resterà sempre smarrita di fronte a un bivio etico: il suo calcolo di ottimizzazione potrebbe avere anche conseguenze disumane. Potrà conoscere tutto sul comportamento umano, ma mai sentire come un essere umano né tantomeno formulare un giudizio morale o provare rimorso. La coscienza supera sempre l’esclusività della ragione, s’inserisce in un preciso contesto storico, sta attenta alle relazioni, ai sommovimenti della vita, alle emozioni. Per un credente, poi, essa non è una voce, ma il rimbalzo di una voce, quella dello Spirito Santo, sulla nostra libertà». 

Giuseppe Pani, Tutti contro uno. Un’intelligenza spirituale per staccarsi dalla folla degli haters, Edizioni Sanpino, Pecetto Torinese (TO) 2022, 15,00 €.

A cura della redazione 


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L’autore

Giuseppe Pani (1970), sacerdote dell’Arcidiocesi di Oristano, è amministratore parrocchiale di Tiria e dirige l’Ufficio diocesano per la Pastorale Universitaria, la Cultura e l’Evangelizzazione digitale. Docente stabile di Teologia morale nell’Istituto Superiore di Scienze Religiose Sassari - Tempio Ampurias, membro dell’Atism (Associazione Teologica Italiana per lo Studio della Morale) e giornalista pubblicista, è autore di diversi saggi che si caratterizzano per il loro approccio transdisciplinare.