La crisi della cultura occidentale

Se oggi un pittore volesse rappresentare la cultura, dipingerebbe un tipetto di mezza età, con gli occhialoni da talpa, sovrappeso e sommerso dai libri. Ben lontana dalla sapienza celeste e superba di Tiziano. Si parla almeno da cinquant’anni di decadenza della cultura occidentale, e da un secolo di nichilismo. Ma quali sono le caratteristiche odierne di questa crisi ormai radicata in Europa? Innanzitutto, l'incapacità di difendere il sapere come valore fondamentale della società. Anzi, il concetto base della società dei consumi è quello di guadagnare soldi per vivere meglio in un futuro non meglio individuato. La cultura, non essendo monetizzabile, è inutile. Inoltre, si confonde il sapere con il banale nozionismo. La nozione corrisponde alla teoria, al pensiero, ma se essa non si traduce in denaro, allora non serve. In realtà, il vero acculturato è molto pratico: si rende conto infatti che l'informazione teorica è il mezzo e non il fine per costruire un ragionamento coerente e maturo. Non aiuta inoltre la distinzione netta che si fa tra scienza e cultura umanistica. Non ci si rende conto che vanno entrambe a braccetto, influenzandosi a vicenda e cercando diversi aspetti della realtà. Questo era un concetto ben chiaro allo stesso Galileo Galilei, che distingueva lo studio del come delle cose rispetto a quello del perché. Anche il mondo accademico ha le sue colpe: per troppo tempo si è nascosto in una torre d'avorio, dorata ma polverosa. Non a caso, la rivoluzione del '68 fu portata avanti da studenti che accusavano il sistema scolastico di non rispondere più alle incombenze del mondo che lo circondava. E la polemica continua ancora oggi. A tutti i livelli è assente quindi un’autocritica costruttiva, la presa cosciente di ciò che manca. La politica non aiuta. Si parla di cultura solo davanti all'arrivo dei profughi, accusati di voler distruggere l'Occidente. Ma veramente siamo così deboli da temere la perdita del "nostro" sapere a causa di altri? Invece, è necessario tutelare i lavoratori del mondo dello spettacolo, della ricerca scientifica e umanistica, dei beni culturali, affinché anch’essi abbiano un posto nella società. Non in quanto persone che monetizzano ma che preservano e portano avanti la bellezza del sapere, per la vita. Infatti, i soldi migliorano la vita (e chi scrive non ha intenzione di demonizzarli), ma non sono il fine della vita. Altrimenti non si spiegherebbe come nella nostra epoca, che storicamente è quella di maggior progresso dell'umanità, troppe persone soffrano di depressione, la violenza imperversi, e la banalità dei contenuti impedisca di esprimersi in maniera autentica. La cultura non è da secchioni un po' sfigati: serve a vivere in maniera autentica, migliorando se stessi. Non è utile a chi vive alla stregua degli altri, autocompiacendosi dei risultati raggiunti per dimostrarsi migliore degli altri (in cosa poi?). La cultura aiuta ad avere un rapporto autentico con l'altro, ad avere uno scopo nella vita e a perseguirlo. Non si fa cultura per farne un vanto, ma per guardarsi allo specchio e dirsi: sono una persona migliore.

Riccardo Rosas 

Amo la musica, la letteratura, l’arte, la filosofia e la teologia.

Frequento il conservatorio di Cagliari.

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