Tutto in un abbraccio. Meditazione sul Natale al tempo del Covid

Secondo il linguaggio mitico ebraico, nel grembo materno conosciamo l’universo e i suoi misteri, per poi dimenticare tutto al momento della nascita. Per Martin Buber, invece, la vita prenatale, attraverso il legame naturale con nostra madre, ci prepara a vivere i “legami” – impregnati di gioie, dubbi, incomprensioni e sofferenze –  che instaureremo sulla strada della vita. Sposando queste suggestioni, i nove mesi di attesa prima di venire alla luce ci insegnano a desiderare, a conoscere, a cercare un “tu”, un abbraccio.

Nella sua Visitazione, Raffaello Sanzio dipinge Elisabetta e Maria: due donne che attendono un figlio. La Madonna accarezza dolcemente, come ogni mamma, il suo grembo: il luogo dove si celebra la vita. Si tratta, però, anche del primo incontro tra Giovanni Battista e Gesù: «In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo» (Lc 1,39-41). Una visita meravigliosa: Giovanni sussulta, danza di gioia per l’incontro con il Messia.

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Raffaello Sanzio, Visitazione

Col passare del tempo, il Battista avrà i suoi dubbi: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?» (Mt 11,3). S’incontreranno di nuovo nel fiume Giordano, momento immortalato da Raffaello sullo sfondo del dipinto: «Allora Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me? Ma Gesù gli rispose: Lascia  fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia. Allora egli lo lasciò fare» (Mt 3,13-15). Un’amicizia nata nel grembo materno vive in quel preciso istante il suo vertice più alto. La relazione tra i due sarà segnata anche dal dolore più estremo, il martirio di Giovanni: «I suoi discepoli si presentarono a prendere il cadavere, lo seppellirono e andarono a informare Gesù. Avendo udito questo, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte» (Mt 14,12-13). Anche il Figlio di Dio china il capo, ha bisogno di elaborare nel silenzio il suo lutto.

Un Natale in piena crisi pandemica, e zona rossa, ci insegna che la vita e la morte coesistono dentro di noi. Nella Natività di Lorenzo Costa, Gesù è adagiato su di un letto fatto con dei rami intrecciati e coperto da un panno bianco, prefigurazione della sua passione (la corona di spine) e morte (il sudario di sepoltura).

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Lorenzo Costa, Natività

Un culto sconosciuto alla maggioranza dei cristiani è quello del Divino Infante: statuette devozionali che non avevano alcuna attinenza con il presepe e il Natale. Le dimensioni ne confermano un uso diverso legato a forme di devozione “autonoma”. La particolarità delle statue del culto del Divino Infante sta nel fatto che l'immagine del Cristo fanciullo rimanda anche al mistero della sua Passione, Morte e Resurrezione. Attraverso alcune collezioni, possiamo ammirare statue dove Gesù Bambino tiene con una mano la corona di spine e con l’altra si appoggia alla colonna della flagellazione; altre nelle quali è rappresentato come un re (solo un bambino può vivere la sovranità come abbandono a Dio) con la mano destra benedicente e con la sinistra che regge il mondo; oppure dormiente nel Giardino dell’Eden (Cristo, nuovo Adamo). Molto suggestive, infine, quelle dove stringe nella mano una mela cotogna (simbolo della sua missione di redenzione) o un acino d’uva (riferimento al vino eucaristico e, quindi, al sangue versato sulla croce).

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Statua del Divino Infante

Arriva un momento, la crocifissione, in cui Dio decide di non compiere più prodigi, tra l’altro nessuno mai fatto in suo favore, per mostrarsi scandalosamente vulnerabile. Debole come agli inizi della vita: «Nulla al mondo, come sappiamo, è più fragile di un neonato: è totalmente dipendente da altri e, lasciato a se stesso, sopravvive soltanto per poche ore. Così la debolezza di Dio non caratterizza solo la fase finale del ministero terreno di Gesù, ma anche quella iniziale. È come se Dio avesse voluto che l’itinerario terreno di suo Figlio fosse racchiuso in due esperienze di debolezza radicale: la nascita e la morte» (P. Ricca).

Come tutti noi, Gesù è stato un bambino vulnerabile, bisognoso di una madre e di un padre, Giuseppe. La Belle Jardinière di Raffaello Sanzio, completata dal Ghirlandaio, raffigura Maria con Giovanni Battista e Gesù ancora fanciulli. Lo sguardo di Gesù verso sua mamma, e viceversa, è commovente: il Dio-Bambino, creatura fragile, ha bisogno di essere rassicurato, consolato; e sua mamma, la Madre di tutti noi, ne è cosciente.

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Raffaello Sanzio, La Belle Jardinière

Maria sarà la consolatrice di suo Figlio anche durante il dramma della Passione. Nel Trittico della Crocifissione di Rogier van der Weyden, la Madonna cade in ginocchio abbracciando la croce. Quando un nostro familiare o amico sta soffrendo o morendo, lo abbracciamo, gli stiamo vicino, gli teniamo la mano, gli facciamo sentire in qualche modo –  anche se una pandemia impedisce il contatto fisico – il nostro amore. La Vergine, tra le lacrime, abbraccia nella croce la fragilità del suo “piccolo”. Per lei è sempre il suo bambino: ha bisogno di essere amato, avvolto di tenerezza.


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Rogier van der Weyden, Trittico della Crocifissione (particolare)

Natale è l’urlo di un neonato che ha necessità di essere allattato, abbracciato. Maria ai piedi della croce ha la forza di abbracciare ancora una volta il suo “piccolo”: la debolezza di Gesù non la disintegra. Ha già sperimentato in un abbraccio la vulnerabilità di un neonato: ogni madre, anche quando soffre duramente (pensiamo al dolore del parto), sa che la fragilità è luogo d’incontro e non un limite. Nel frangente della crocifissione, la Madre di van der Weyden tenta di guardare verso l’alto, fissa il suo orizzonte negli occhi di suo Figlio creando con lui una profonda comunione. Il Figlio di Dio desidera sopprimere l’odio del mondo nella propria carne sofferente, ma ha bisogno dell’abbraccio, della forza, del volto, delle parole dolci di sua mamma: «Figlio mio, sono stata, sono e sarò sempre con te. Ho fede. Non sarà l’ultimo abbraccio!».

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Immagine che ha ispirato il finale di una delle riflessioni del mio ultimo libro, Pietre che rimbalzano sull’acqua: «L’inizio dell’esistenza umana ci insegna che ogni esperienza del limite, compresa la morte, ha una via d’uscita: l’abbandono, la fede nell’altro, un abbraccio». 

Buon Natale! 

Don Giuseppe Pani